di P. BONAVENTURA M. MANSI Ministro Provinciale


Napoli, 15 aprile 1961 Convento di S. Lorenzo Maggiore

S. ECC. GIUSEPPE MARIA PALATUCCI
Nato a Montella (Avellino) nella verde Irpinia, il 25 aprile 1892, da genitori di profondi sentimenti cristiani, egli fu il terzo e più giovane dei tre fratelli germani Palatucci, Antonio, Alfonso, Giuseppe, divenuti tutti e tre benemeriti Frati Minori Conventuali di questa nostra Provincia di Terra di Lavoro o di Napoli.
Ricevuto alla vita francescana il 5 giugno 1906, dal P. M. Domenico Tavani, allora Commissario di questa Provincia, più tardi Ministro Generale dell'Ordine, e accolto nel patrio Convento di S. Maria del Monte in Montella, vi terminò gli studi ginnasiali, già ivi iniziati.
Compì l'Anno di Noviziato sulla Tomba del B. Bonaventura a Ravello, dove il 17 gennaio 1909, emise con piena gioia del suo spirito la prima Professione religiosa. Inviato a Roma a proseguire gli studi presso la Pontificia Università Gregoriana, vi conseguì brillantemente la Laurea in Filosofia, il 5 giugno 1912, avendo contemporaneamente frequentato anche la Pontificia Facoltà di Lettere e di Studi Danteschi all'Apollinare.
Nel 1913 iniziò i suoi studi sacri presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Ordine, nel nostro Collegio Internazionale Romano, seguendo frattanto anche i corsi dell'Accademia Liturgica Romana, dalla quale vide premiati e pubblicati i suoi lavori scolastici e di cui fu poi anche Socio apprezzato.
Ordinato sacerdote a Roma il 29 maggio 1915 e cantata la prima Messa solenne il 31 maggio nella Chiesa di S. Silvestro in Montella, il giorno seguente, — 1° giugno 1915,— si presentò immediatamente per adempiere i suoi doveri civili di richiamato della Grande guerra; fu prima soldato della 10' Compagnia di Sanità in Napoli, per il trasporto dei feriti dalle zone di combattimento, infine Cappellano militare, congedato il 18 ottobre 1919, dopo più di quattro anni di servizio militare, prestato con quell'elevato amore di Patria e intenso spirito sacerdotale, che furono sempre armoniosamente congiunti e operanti in lui.
Ritornato nel nostro Collegio Internazionale di Roma per continuare gli studi interrotti nel periodo bellico, vi conseguì a pieni voti la Laurea in Teologia il 21 luglio 1920, completando ancora meglio la sua già solida formazione scientifica e francescana, a contatto di insigni Maestri e Religiosi della nostra Famiglia Conventuale, fra cui II P. M. Stefano Ignudi di venerata memoria, da cui assorbe largamente lo spirito di fedele aderenza e valorizzazione delle migliori tradizioni dell'Ordine e di continua e aggiornata operosità a servizio della Chiesa.
Venuto in Provincia, dopo brevi permanenze nei conventi di Ravello, Barra e S. Anastasia, il 21 novembre 1921 fu inviato ancora una volta a Roma, dove per due anni fu Professore di Filosofia e Vicerettore del nostro Collegio Serafico di via Antoniana presso le Terme di Caracalla.
Il 22 ottobre 1923 lasciò definitivamente Roma, su richiesta del fratello, P. M. Antonio Palatucci, nuovo Ministro Provinciale di Napoli (1922-1934), il quale benché eletto per la prima volta soltanto nel precedente ottobre 1922, con larghezza di vedute e con vigoroso slancio di volontà, già provvedeva alacremente alla rinascita e riorganizzazione di questa nostra Provincia, duramente provata dalle note soppressioni religiose e loro conseguenze.
Prima pietra di quell'ardita e benefica restaurazione provinciale fu il Collegio Serafico di Ravello, riordinato con nuovi criteri e mezzi, e suo primo e impareggiabile Rettore fu nominato il P. Giuseppe Palatucci, che per 14 anni continui, vi profuse le sue migliori energie giovanili, anche come Superiore del Convento per quasi tutto l'indicato periodo.
Abbondanza di vocazioni, pietà e disciplina, formazione profondamente religiosa, serietà di programmi e di insegnamento scolastico, entusiasmo di iniziative e di opere, fiorirono largamente benedette da Dio in quel Collegio, restaurato e ampliato anche nelle sue vecchie mura e locali, e un soffio di nuova vita corse per tutta la Provincia, maturando gradatamente numerosi frutti di giovani Sacerdoti, plasmati e preparati secondo il migliore spirito francescano.
L'attività di educatore non impedì al dinamico P. Giuseppe di dedicarsi in quegli anni, anche ad un frequente apostolato di predicazione, che da Ravello estese a tutta la Costiera Amalfitana e spesso a varie città del Mezzogiorno d'Italia, in Campania e Lucania, Puglia e Calabria. Onorato di particolare stima e amicizia dal dotto e pio Mons. Ercolano Marini, Arcivescovo di Amalfi, fu da lui delegato a preparare la Ricognizione e Traslazione del Corpo del nostro Venerabile P. Domenico Girardelli da Muro, dalla Cripta alla Chiesa del nostro soppresso Convento di detta città, ciò che fu eseguito con ogni proprietà, e concorso di popolo, il 1° dicembre 1923; dallo stesso Arcivescovo il P. Giuseppe fu poi frequentemente incaricato del disbrigo di importanti pratiche diocesane e fu nominato Vice-Presidente dell'Accademia ecclesiastica e amalfitana di S. Andrea Apostolo.
Nel 1925, nell'imminenza del VII° Centenario della morte di S. Francesco, fondò «Luce Serafica» Periodico Francescano mensile del Mezzogiorno d'Italia, di cui fu primo e ammirato Direttore per 12 anni; periodico che suscitò tanti autorevoli consensi e riunì intorno a sé un gruppo di validi scrittori; che rievocò e sottolineò memorie e figure, presenze e attualità del francescanesimo specialmente meridionale, in passato e al presente sempre attivo e benefico, intrecciate a spunti, ideali e incitamenti di vita cristiana, riportando così nelle nostre regioni, attraverso ad una maggiore divulgazione e cultura serafica, anche un risveglio e un amore più ardente verso il Poverello di Assisi e l'opera sua e dei suoi figli fra noi.
Nel 1928, da parte dell'Ordine, gli fu conferito il titolo di «Maestro in S. Teologia» e nel 1931 quello di «Padre della Provincia»; in questo stesso anno condusse a termine il riscatto degli edifici del nostro Convento di S. Francesco e del Monastero di S. Chiara, ambedue in Ravello, offrendo in permuta all'Autorità comunale locale e come sede del Municipio, un'antica casa gentilizia, acquistata e restaurata allo scopo. Nell'estate del 1935, dal fratello P. M. Alfonso Palatucci, nuovo Ministro Provinciale (1934-1949), fu inviato come suo rappresentante presso il Principe Umberto di Savoia, che in occasione delle grandi esercitazioni militari estive, che si svolgevano nell'Irpinia, usava spesso sostare nel nostro antico Convento di S. Francesco «a Folloni» in Montella. La cordiale amicizia sorta tra il Principe e il P. Giuseppe in quell'incontro, risultò poi valida alla soluzione di varie difficoltà, non della sola nostra Provincia.
A 45 anni, nel pieno vigore delle sue forze, protese in numerose attività, il P. M. Giuseppe Palatucci fu designato Vescovo di Campagna (Salerno) da Pio XI, il 16 agosto 1937; ricevette la Consacrazione Episcopale dal Cardinale Alessio Ascalesi Arcivescovo di Napoli, il 28 novembre 1937, nella nostra trecentesca Chiesa di S. Lorenzo Maggiore in Napoli, che in quella circostanza, dopo 30 anni di chiusura e di restauri si riapriva al culto e accoglieva il ritorno dei nostri Frati, fino allora tentato invano, presente il P. M. Beda Hess, Ministro Generale dell'Ordine, tra molte Autorità e personalità ecclesiastiche e civili e una folla innumerevole di fedeli; entrò solennemente nella Diocesi affidatagli, il 16 gennaio 1938, accolto da imponenti manifestazioni di popolo, a cui era giunta notizia della pietà, dottrina e operosità del suo novello Pastore.
Cresciuta la dignità dell'ufficio, ma non diminuito lo spirito di dedizione ai propri doveri, egli rimase fedele ai suoi personali impegni di vita francescana, dedicando oltre le sue molte attitudini di mente e di cuore, anche le risorse di nuovi mezzi e possibilità sopravvenutegli, a totale ed esclusivo beneficio e vantaggio della diletta porzione dell'ovile di Cristo e della Chiesa, a lui direttamente commessa.
Restaurò e incrementò il Seminario Diocesano e ridestò nel Clero e nei fedeli la venerazione e il culto per il Santuario locale di S. Maria di Avigliano. Riorganizzò l'Azione Cattolica in tutti i paesi della Diocesi, che visitò ripetutamente, raggiungendo anche per vie aspre e con cavalcatura, villaggi montuosi e casolari remoti, che da più decenni non vedevano il loro Vescovo.
Attraverso una frequente predicazione e scritti pastorali, solidi e chiari, rinvigorì la fede, i costumi e il senso cristiano della vita in tutti i suoi Diocesani, stringendo intorno a sé specialmente i giovani, gli uomini e le persone colte. Istituì nuove Parrocchie e costruì dalle fondamenta nuove Chiese, facilitando e accrescendo la partecipazione dei fedeli ai loro doveri religiosi e alle funzioni liturgiche.
Celebrò il Congresso Eucaristico a Contursi e attuò la «Peregrinatio Mariae» nell'intera Diocesi, parlando fino a sei volte al giorno, a maree accorrenti di popolo che lo seguivano ovunque, felice e meravigliato egli stesso di vedere crescere e consolidarsi in essi, la pietà eucaristica e mariana.
Incoraggiò e sostenne con ripetuti incontri e interventi tutte le istituzioni benefiche diocesane e cittadine; non si trincerò nel campo strettamente ecclesiastico, ma mediante il prestigio e le aderenze, di cui godeva presso le Autorità civili competenti, locali e centrali, promosse varie realizzazioni di vantaggi materiali ad utilità del popolo; tra cui la sollecita edificazione e distribuzione di numerose case popolari in località più bisognose, la costruzione di un nuovo acquedotto per le città di Eboli e Campagna, la concessione di una indispensabile strada rotabile, tra Campagna e Acerno, invocata invano da quasi un secolo.
Contro le deviazioni e gli errori, agì tempestivamente ed energicamente, con interventi ora pubblici e destinati a tutti, ora riservati e rivolti ai singoli, sempre però coraggiosi ed efficaci.
Fu sua particolare benemerenza la protezione, sostegno e difesa di numerosi ebrei, di perseguitati politici, di angariati e oppressi da qualsiasi specie di ingiustizia, specialmente durante l'ultima guerra, in cui non lasciò nulla di intentato per la salvezza materiale e morale di tutti i suoi Diocesani, senza distinzione di idee e di colori politici; nei micidiali bombardamenti aerei che colpirono anche Campagna, egli come vecchio ed esperto soldato e come Padre sollecito e affettuoso, intrepido e incurante di ogni pericolo, tornò tra le macerie degli edifici crollanti e nelle grotte di rifugio e di ricovero, alla raccolta e cura amorosa dei feriti e al pio e onorato seppellimento dei morti, con tanta premura e abnegazione, che tutti ammirarono ed esaltarono in lui il Pastore solerte e generoso, che da tutto sé stesso per le proprie pecorelle.
Caratteristica dei suoi 23 anni di Episcopato fu una carità profonda, operosa e inesauribile, per cui il suo Episcopio fu la casa aperta a tutti e a tutte le ore; ed egli più che il Vescovo da riverire, fu l'Amico da interpellare fiduciosamente per consiglio nelle incertezze, per soccorsi nell'indigenza, per collaborazione nella soluzione di difficoltà, perfino per presentazione o espletamento di complicate pratiche burocratiche; ed egli, sia che si trattasse di persone ragguardevoli e di importanti materie che di umili popolani e di piccole cose, fu sempre pronto ad intervenire, ad agire e anche a viaggiare, affinché l'aiuto a lui richiesto non venisse a mancare ad alcuno.
E poiché egli, con la modestia di Francescano e la riservatezza di Vescovo, seppe nascondere e velare la maggior parte del suo diuturno e serafico altruismo, nessuno pensò mai a valutare quanta pace e tranquillità egli aveva riportato in anime e famiglie travagliate, quanta fu la sua beneficenza verso i poveri e i derelitti, quanti favori egli elargì o ottenne ai degni e ai meritevoli e talvolta anche ad oppositori e ingrati; ma la sua morte e i suoi funerali rivelarono, sia pure in modo anonimo ma altamente dimostrativo, quanti e quali furono i suoi beneficati e di quanta stima, onore e venerazione egli era circondato.
Alla fulminea e incredibile notizia infatti della sua fine la sera del Venerdì Santo, il popolo di Campagna, che poco prima lo aveva visto attraversare le vie cittadine, si precipitò in folla al portone dell'Episcopio, che bisognò sbarrare e custodire con la forza pubblica, per avere il tempo di rivestire la salma dell'estinto degli abiti pontificali. Esposto sul feretro a tarda sera nella Cappella del Seminario sulla pubblica via, fu vegliato per tutta la notte da fedeli che si succedevano a frotte incessanti, sostando a lungo e in preghiera presso di lui, con rimpianto commovente e ammirabile.
Il lutto cittadino fu non solo ufficiale, ma generale; il Sabato Santo vide le porte socchiuse e le mura degli edifici della città, cosparse di scritti e di manifesti, esprimenti il particolare cordoglio delle singole istituzioni ecclesiastiche e civili, mentre all'ininterrotto pellegrinaggio dei Diocesani, si univano congiunti, amici, ammiratori e personalità, venute anche da lontano a rendere omaggio allo scomparso.
Le sera di Pasqua, al trasferimento privato dell'estinto dalla Cappella del Seminario alla Basilica Cattedrale, il popolo che, in attesa, stipava le adiacenze, volle e ottenne che la salma fosse trasportata a viso scoperto per le principali vie della città, dove egli era passato per tanti anni benedicente e dove essi vollero ammirare per l'ultima volta il suo volto ancora paterno e sereno, anche nell'immobilità della morte.
Il lunedì dopo Pasqua, — 3 aprile 1961, — ebbero luogo nella Cattedrale di Campagna i solenni funerali.
Erano presenti dieci Vescovi della Regione Campano-Lucana, il Rettore del Pontificio Seminario Regionale di Salerno, il Clero e il Seminario Diocesano di Campagna, il P. Procuratore Generale del nostro Ordine, i Rappresentanti delle tre Famiglie Francescane della Campania, il nostro P. Provinciale delle Puglie i Chierici Professi e Probandi dei nostri Seminari di S. Anastasia e di Nocera Inferiore.
Erano presenti inoltre un folto gruppo di Onorevoli Deputati meridionali, tra cui un Ministro e un Senatore della zona, molte Autorità e rappresentanti, Funzionari e personalità politiche civili, militari e scolastiche delle Province di Salerno e di Potenza, che non tentiamo neppure di numerare, oltre il Sindaco di Campagna e tutti i Sindaci della Diocesi in fascia tricolore e un drappello di soldati che rendevano gli onori militari. I fedeli gremivano in modo inverosimile la vasta Cattedrale e assiepavano innumerevoli le vie circostanti.
Pontificò l'Ecc.mo Arcivescovo Primate di Salerno, parlò in Chiesa l'Ecc.mo Vescovo di Muro Lucano, eseguirono il canto i Chierici dei nostri Seminari.
Terminato il rito funebre, dalla Cattedrale si snodò per le vie cittadine un interminabile corteo, a cui presero parte le Associazioni Cattoliche e Gruppi scolastici, il Clero e le Autorità suindicate, una massa enorme di popolo cittadino e diocesano, affluito da ogni parte dei dintorni; e poi corone di fiori, fiori e fiori...
A giudizio di persone del luogo, Campagna, a memoria d'uomo, non ricordava di avere visto mai un simile spettacolo; chi ha assistito a quel corteo, può testimoniare che quello non fu uno dei soliti grandi funerali, ma un vero e sentito plebiscito di affetto e un'autentica apoteosi e trionfo.
Al termine del corteo, parlò prima il Sindaco di Campagna e poi vari Parlamentari e Personalità civili, che espressero elevate valutazioni e sentimenti verso l'eccezionale Pastore, che suscitarono la più viva e larga commozione; conclusero gli elogi civili un giovane Sacerdote di Campagna, plasmato e ordinato dal suo indimenticabile Vescovo, e il P. Procuratore Generale del nostro Ordine; poi il feretro proseguì immediatamente per Montella, dove giunse nel pomeriggio, scortato dalle macchine e dai fiori di molti fedeli Campagnesi.
Il martedì dopo Pasqua, — 4 aprile 1961, — nella Chiesa Collegiata di Montella, si ripetettero i funerali, presentì altri quattro Vescovi, molte rappresentanze venute da Campagna, il Clero locale, i nostri Religiosi e Chierici e numeroso popolo della città natale dell'estinto.
Celebrò l' Ecc.mo Vescovo Diocesano di Nusco, disse l'elogio fraterno il nostro P. Silvio Stolfi, eseguirono il canto i nostri Chierici; poi con un secondo imponente corteo, la salma di Mons. Giuseppe M. Palatucci fu trasportata e deposta temporaneamente nel Cimitero della sua natìa Montella, in attesa di essere tumulata definitivamente nella nostra locale Chiesa di S. Francesco «a Folloni», dove aveva pregato fanciullo e si era sentito attrarre verso il Serafico Padre, e dove aveva espresso il desiderio di essere sepolto.
La nostra Provincia religiosa di Terra di Lavoro o di Napoli ha perduto, o forse meglio ha visto scomparire dalla sua presente compagine operativa, un Francescano e un Vescovo incomparabile, un benemerito artefice della nostra rinascita contemporanea, un esempio degno di ammirazione e imitazione, che non deve essere mai da noi dimenticato, ma deve essere spesso ricordato e riproposto ai nostri Religiosi e ai nostri Chierici, come modello di numerose virtù e di edificante operosità.
Fornito di eccellenti doti fisiche, intellettuali e morali, decoroso di persona, acuto di mente, energico di volontà, vivace di spirito, incline alla pietà e alla preghiera, egli seppe tutto coltivare seriamente in sé stesso e dedicare generosamente a Dio, sulle orme e nello spirito del Serafico di Assisi.
Fu Francescano convinto, sincero, «tutto di un pezzo», come si usa dire; semplice nella visione della vita, affabile nella conversazione, franco nelle sue opinioni, leale nelle sue azioni, povero e disinteressato nei suoi favori e prestazioni, esaltatore dello spirito e delle glorie dell'Ordine, austero e costante nell'adempimento delle sue regole e tradizioni.
Fu educatore nato ed efficace, con qualche severità giovanile di disciplina; ma fu sicuro plasmatore e forgiatore delle; anime e delle coscienze dei suoi discepoli, ai quali seppe impartire e donare una solida e profonda formazione francescana, fatta di conoscenza, convinzione, ardore e sacrificio per la grandezza e bellezza dell'ideale sacro e religioso da raggiungere e più ancora per renderlo poi puro, operante e fruttuoso nella vita.
Fu predicatore e scrittore robusto e trasparente, alieno da pose e artifici letterari solido nella dottrina, chiaro nell'esposizione, gradito ai colti, accessibile al popolo, esperto nello scuotere ed entusiasmare le folle nelle manifestazioni religiose, erudito nelle conferenze e nelle trattazioni di argomenti particolari.
Fu sacerdote zelante e integerrimo, sempre proteso nel promuovere la gloria di Dio e la salute delle anime, oltre che con la predicazione, con il consiglio individuale a chiunque si rivolgeva a lui, con la direzione spirituale delle anime consacrate a Dio nei Monasteri e nelle Comunità religiose, con le confessioni assidue al Clero e ai fedeli.
Fu Vescovo pio e dotto, paterno e vigilante, energico e inflessibile quando fu necessario, accogliente e prodigo di ogni aiuto e conforto a lui possibile, umile e tacito negli onori e nei riconoscimenti che pure non gli mancarono.
Il suo Episcopio, il suo tenore di vita, il suo guardaroba, sempre in diminuzione, dicono che egli non dimenticò mai di essere Francescano; Personalità che lo conobbero da vicino dicono che la sua incessante operosità a servizio di tutti, abbia stroncata o abbreviata innanzi tempo la sua vita.
Egli è stato dunque una delle figure odierne più elette e rappresentative di questa nostra Provincia religiosa di Terra di Lavoro o di Napoli, che sta assai bene a fianco alle molte simili, che per dottrina, virtù e azione l'hanno preceduta nei secoli passati; rimane perciò e rimarrà sempre fra noi, non solo in ricordo e benedizione, ma per quanto riguarda il suo autentico francescanesimo, in esempio sempre valido e luminoso, degno di imitazione ed emulazione.
So che la maggior parte dei nostri Conventi gli ha tributato i suffragi prescritti; chi deve ancora, provvedere al più presto a norma dei nn. 267 e 270 delle Sante Costituzioni, Confidando che dal cielo egli continui ancora e più efficacemente l'opera di protezione, dì amore e incremento di questa sua e nostra Provincia, nel nome del nostro indimenticabile P, M. Giuseppe Palatucci e nello spirito del Serafico Padre S. Francesco, vi saluto e benedico tutti di cuore.


Avv. DIODATO CARBONE


Presidente dell'Amministrazione Provinciale di Salerno

UMANITÀ DI UN VESCOVO
II rimpianto veramente unanime che ha suscitato la scomparsa di Mons. Palatucci trova la sua spiegazione nella profonda umanità che lo distingueva.
Pio, dinamico, esuberante. Egli, oltre a dedicarsi con ammirevole zelo alla cura della vasta e gloriosa Diocesi, amava operare con indicibile amore nel campo difficile e sconfinato della carità cristiana.
Un lavoro arduo e silenzioso, nel quale rifulsero le Sue immense risorse di francescano.
In lunghi anni di apostolato si era creata la invidiabile fama di «amico di tutti» e le persone, che non bussarono invano al Suo cuore, furono migliaia e migliaia.
La sofferenza, il bisogno altrui non avevano volto per Mons. Palatucci.
Il povero, l'infelice, il colpevole, l'ingrato erano per Lui soltanto creature umane e come tali le accomunava nell'amplesso sublime della Sua generosità.
L'altrui sventura diventava il proprio tormento e moltiplicava ogni energia per fare dono a chiunque della Sua paterna solidarietà, persino nei casi più assurdi.
Era Vescovo, ma si conservava soprattutto frate e l'umiltà e la fermezza gli facevano superare qualsiasi ostacolo: sempre a fin di bene.
Ai superficiali poteva sembrare che Egli, a volte, esagerasse, ma solo chi lo conosceva a fondo aveva modo di rendersi conto del come ogni dramma umano diventasse il Suo dramma, del come ogni speranza in Lui fosse una Sua speranza nella bontà degli altri.
Accoglieva e riversava senza riserve, guidato da una commovente umanità.
La coscienza di essere giusto non gli consentiva di attardarsi nei fronzoli di uno stile che contrastasse con la magnifica durezza del saio.
La veemenza dell'impulso non era che la spinta della carità operante! Per questo Egli era l'amico di tutti; per questo oggi il pianto è di tutti.
Il tempo passerà, ma fino a quando la gratitudine umana avrà un significato e la virtù il suo valore, il ricordo di Mons. Palatucci strapperà lacrime ed ammirazione. E forse un giorno ci si accorgerà di non aver perduto un amico perché si è guadagnato un santo!


del Dott. ANTONIO D'AMBROSIO


Sindaco di Campagna

NEL TRIGESIMO DELLA MORTE RICORDO DI S. E. GIUSEPPE MARIA PALATUCCI.
Non c'è cuore, oggi, a Campagna che non doni un battito e un sospiro alla generosa ed ospitale Montella; non c'è uomo o donna che non rivolga, riverente e affettuoso, il proprio pensiero alla tomba che, nel convento di S. Francesco dei Frati Minori Conventuali, custodisce le spoglie mortali del nostro Vescovo.
E, perciò, tutti, in un'aureola di celesti ideali: gli ideali da Lui invocati e sempre perseguiti, nei giorni luminosi e nelle notti profonde: tutti idealmente rinnovano, ai piedi della sacra bara, un mesto tributo di affetto e di riconoscenza, mentre l'eco di un'intima voce ripete:
«memoria eius in benedictione erit luxitque eum omnis populis»
E' morto un Padre! è il sommesso grido rinnovantesi del nostro popolo; è il pianto che, profondo, in questo doloroso trigesimo, si leva dalle nostre anime e vola: sulle onde e sui venti: per confondersi — con le voci dei Campagnesi d'oltre monte e d'oltre mare — allo stormire delle foglie, che là, nel lontano Convento di Montella, canta l'armonia di Dio all'Estinto amato.
Giuseppe Maria Palatucci fu umile, mite e buono; i suoi passi guidò con la carità e con l'amore; dove regnava la miseria, dove incontrastate dominavano le tenebre. Egli accese, ognora, un lume, che ravvivò con l'olio santo del Suo cuore.
Oh, se fossero tutte note le opere della Sua beneficenza, della Sua misericordia, della Sua sincera pietà !... in un'epoca di spietato egoismo e di mendace filantropia. Egli visse non per sé ma per gli altri, amando e beneficando.
Oh, qual prepotente coro di gioiose voci e di benedizioni pur si leva per Lui al Cielo! Sono voci di miserie alleviate, di affanni mitigati, di dolori leniti.
Sono benedizioni: di carità, perché le Sue mani carità profusero; di lacrime deterse e di speranze rinate; di sorrisi, perché olezzanti rose di gentile speranza la Sua bontà ovunque fece rifiorire; di opere, perché grandi e piccole opere promosse la Sua attività.
Giuseppe Maria Palatucci consacrò, invero, la Sua vita al bene delle anime; e insonne fu il Suo lavoro, piena ed esemplare fu la Sua dedizione al Suo altissimo Ministero ... quando, sugli scanni de Convento formò i Suo carattere; quando, a Roma e a Ravello, dalla cattedra insegnò come l'uomo s'eterna; quando, dai gradini dell'altare, fra l'esalazione mistica dell'incenso, educò il popolo alla fede e alla carità.
Giuseppe Maria Palatucci, che con grande amore e lungo studio guardò alle nuove istanze del mondo moderno, sentì pure i problemi sociali, urgenti e annosi, della Sua gente; e con l'ardore del francescano promosse, perciò, le più varie iniziative nel campo assistenziale, aiutò con la Sua parola illuminata l'opera sagace delle amministrazioni comunali della diocesi, sempre affrettò e concluse col Suo autorevole intervento la soluzione di importanti problemi di natura politico-amministrativa.
Da tempo, infatti, svolgono una profonda opera di redenzione e di formazione la meravigliosa «Casa Palatucci » e gli asili e i ricreatori di Campagna e degli altri paesi della diocesi; e dalle nuove Chiese costruite ex novo o restaurate, nelle varie contrade della diocesi, si levano, ormai, fervide preghiere al Dio dell'Amore e al Padre della Misericordia; ovunque, nel nome del Vescovo scomparso, si educano i nostri figli al senso del Buono e del Bello.
Due opere, però, che debbono — ineluttabilmente — determinare la rinascita di Campagna, esprimono e compendiano l'azione intelligente svolta in venti anni di apostolato dall'illustre Estinto: la strada Campagna-Acerno, che il popolo, unanime, già indica come la via Palatucci; l'acquedotto per le frazioni, che ha appagato il più ardente desiderio dei nostri settemila rurali.
Quante volte l'indimenticato e indimenticabile Presule ha bussato alle porte del Genio Civile, della Provincia, della Cassa per il Mezzogiorno; e mai la Sua voce è restata inascoltata, perché sempre Egli ha raccolto con amore e con carità le esigenze profonde delle Sue popolazioni, sempre ne ha interpretato le più urgenti e gravi necessità.
Perciò, nel trigesimo della morte, nei nostri cuori è luminosamente viva la Sua buona e cara immagine paterna : coi Suoi alti ideali, coi Suoi palpiti, con le Sue ansie, con le Sue speranze ognora rinascenti.
Noi, fiduciosi, guarderemo a quell'immagine, «nella fausta sorte e nell’aria»: grati e riconoscenti, consapevoli soprattutto che «e la gratitudine è l'anima della religione, dell'amore filiale, dell'amore a quelli che ci amano».


del Sac. DOLINDO RUOTOLO


UN GRANDE VESCOVO UNA GEMMA PREZIOSISSIMA IN UN UMILE CASTONE
II Venerdì Santo, quasi nell'ora della morte di Gesù, Mons. Giuseppe Maria Palatucci, compiva la sua missione sulla terra, dando la vita per le pecorelle del gregge a lui affidato da Gesù Cristo. Bisogna pensare che presentiva la sua morte, perché il Giovedì Santo volle i poveri nel suo episcopio, e distribuì loro quanto aveva. Era solito fare la beneficenza al sabato, ma ne anticipò il giorno per dare quanto aveva. Alla sua morte si dovette domandare in carità un lenzuolo per involgervi la salma.
Benché sofferente, volle andare ad assistere alla funzione del Venerdì, nella quale si comunicò; ritornò nell'Episcopio, ed abbracciato a Gesù crocifisso, chinò il capo e spirò la sua grande anima, gettando il lutto e la costernazione nella sua Diocesi. La Chiesa perdeva una delle più grandi figure di Vescovo, e la Diocesi perdeva il padre, il buon pastore, che, con indefesso zelo l'aveva governata per 23 anni, tra pene e dolori di ogni genere, con intelletto di amore e con una grande carità.
Certe grandi figure di Vescovi sempre rifulgono in grandi Diocesi, dov'è più facile essere conosciuti nel clamore della vita pubblica. Ma in ambienti più ristretti, solo dopo la morte si può constatare la loro grandezza da quello che traspare tra i veli della loro umiltà, e dalla testimonianza delle lacrime del popolo. Appena, infatti, si sparse la notizia della morte di Mons. Palatucci, la Diocesi fu unanime nel piangerne la perdita. Piansero perfino quei traviati che egli aveva cercato ricondurre all'ovile di Gesù, piansero di amaro dolore quelli che non avevano capito la sua bontà. Il loro pianto era una testimonianza della carità e dello zelo di questo Incomparabile Vescovo.
Preghiamo il Signore che ispiri ai Frati Minori Conventuali, ai quali apparteneva, di raccogliere le memorie di questo grande loro Confratello, perché in tempi di tanta miseria spirituale e di tanto disorientamento, sia un esempio per tutti.
lo ebbi l'onore e la grazia di conoscere Mons. Palatucci quando ancora era semplice frate. Mi colpì subito la sua personalità. Di grande ingegno e di grande cultura, ma ancora più, di grande e schietta fede e pietà, era d'incantevole semplicità e umiltà francescana. Ispirava fiducia a quanti lo avvicinavano, perché non aveva alcuna posa.
Apriva il cuore. Benché tanto semplice, era di una schietta franchezza francescana, che lo fece forte nella difesa della verità e della giustizia, anche verso quelli che sono potenti nel mondo, e che, dolorosamente, sono abituati a trovarsi di fronte a persone che o temono di dire la verità, o si perdono in parole di adulazione.
Il suo carattere semplice e forte non conosceva quello che il mondo chiama diplomazia; la sua linea era una sola, quella dell'Evangelo: Est, est, non non, verso chiunque, non con irruenza, o tracotanza, ma con la luminosa schiettezza della verità.
Oratore di forza, illuminava col metodo evangelico le anime. Parlava, come Gesù, in parabole e paragoni che tutti potevano intendere. Da Vescovo, nelle piazze, nelle Chiese, dovunque, levava la sua voce infiammata contro i vizi e gli errori. Le sue Pastorali rimangono a testificare la potenza e lo spirito della sua parola.
La sua carità era inesauribile verso tutti, ed egli con prontezza rispondeva a tutti quelli che si rivolgevano a lui. Immediatamente raccomandava quelli che avevano bisogno di aiuto, interveniva di persona, erogava soccorsi con eroica larghezza, provvedeva ai bisogni della città e della Diocesi, ottenendo dalle alte autorità interventi insperati, perché andava personalmente a perorare la causa di quelle provvidenze che sono state salutari al benessere di Campagna.
Sollecito del bene per la carità, lo era molto più per la salvezza delle anime. Fece da missionario in tutti i paesi della Diocesi, sempre pronto nel ministero pastorale. I dissidenti, i cattivi, lupi rapaci molte volte in veste di agnelli, sentirono la sua voce paterna e forte, e furono smascherati nelle loro insidie alla fede del popolo. Aveva una parola schietta, semplice, persuasiva; usava uno stile che poteva comprendersi da tutti. Benché provato da gravi malattie, e costretto a vari interventi chirurgici, non cessasse dal suo letto di dolore di governare la sua Diocesi. Rispondeva immediatamente a tutti, di sua propria mano.
Non è possibile, neppure con un cenno fugace, dare un'idea della sua prodigiosa attività, che moltiplicava per la scarsezza del suo Clero. Non sempre compreso da chi non aveva capito il suo gran cuore, sopportava pazientemente e perdonando con generosità, le ingratitudini e i dolori che riceveva. Tutto unito alla Divina Volontà, guardava a Dio solo, amandolo ed operando per la sua gloria fino all'esaurimento di se stesso.
La sua carità andò oltre i confini dell'Italia, e gli Ebrei vollero manifestargli la loro riconoscenza, invitandolo in Terra Santa a loro spese, dove, colmandolo di onore, onorarono la Chiesa Cattolica. Ricevuto in Terra santa con grandi manifestazioni di affetto, fu accolto dagli Ebrei medesimi con canti eucaristici.
Traspariva dalla sua persona Gesù che viveva in Lui, e gli Ebrei, cantando a Gesù Sacramentato, facevano, quasi incoscientemente una riparazione alla ingratitudine con la quale i loro padri avevano ricevuto il Redentore.
La sua devozione a Maria SS. Immacolata fu immensa, e ne annunziava le glorie con fervore filiale. La amava come Mamma, e a Lei faceva ricorso nelle sue molteplici opere di zelo e nelle sue grandi pene. Intendeva benissimo che per avvicinare le anime traviate a Gesù, bisognava portarle a Maria, e per Maria Immacolata le ichiamava alla fede e alla vita cristiana.
Nella sua Diocesi, infestata dalle insidie dei Protestanti, intuì con mirabile luce soprannaturale, che per ricondurli alla Chiesa cattolica non si dovevano avvicinare i cattolici a loro, con una falsa dottrina cristologica, che dimentica, o finge di dimenticare Maria SS. e i Santi, ma bisognava attirare i protestanti a Maria ed ai Santi, per attirarli alla Chiesa Cattolica. Fu perciò un appassionato oppositore di certe correnti modernistiche che oggi avvelenano i giovani, e uno strenuo difensore della Chiesa, del Papa, del Sacerdozio.
Alla piccola schiera dei suoi Chierici aspiranti al Sacerdozio, istillava soprattutto la pietà, che è utile a tutto, come dice S. Paolo, e si preoccupava più del loro spirito che di quella scienza che, senza pietà, gonfia, e facilmente scivola in idee errate e modernistiche, con aspirazioni mondane, le quali spesso preparano la dolorosa apostasia di tante anime consacrate a Dio.
Nella sua bontà mi fu sempre di difesa, di conforto e di sostegno nelle povere opere del mio apostolato, ed io gliene serbo eterna gratitudine, ponendo sulla sua lacrimata tomba questo piccolo fiore.
Il Signore susciti nella Chiesa anime grandi come quella di Mons. Palatucci, e dissipi le tenebre di una scienza fallace, che inganna e porta lontano dalla Chiesa Cattolica questo povero mondo sconvolto.


del Mons. FRANCESCO SACCO


Vicario Capitolare

RICCHEZZA DI VITA SPIRITUALE DI MONS. PALATUCCI
Tradurre in parole in un modo completo e particolareggiato la figura di S. Ecc. Giuseppe M. Palatucci è certo un compito arduo.
I sentimenti più forti non hanno parole adeguate per potersi esprimere e rimangono incisi nei penetrali dell'anima : ciò sperimentiamo in noi ricordando il nostro Vescovo, ricco di tante doti di mente e di cuore.
I fedeli di Campagna e Diocesi che trovarono sempre nel loro Vescovo il Pastore saggio e santo, il presidio e il difensore della Fede, l'apostolo della carità e della dottrina di Dio, hanno dimostrato a Lui, da! momento in cui ne appresero la morte, tutta la devozione, l'attaccamento e la riconoscenza.
Però quello che resterà scolpito per sempre nella mente e nel cuore di coloro che gli sono stati più vicini è il suo livello spirituale.
Fu un uomo di preghiera e di sacrificio e la sua giornata di 23 anni di Episcopato fu una continua preghiera e un continuo sacrificio.
Sentiva il senso della responsabilità come pochi e parlando diceva spesso: «Ho vigilato quanto potevo e dovevo?». Ed esortava continuamente i sacerdoti ed i fedeli a vigilare, affinché infiltrazioni malefiche non andassero a turbare la serenità della grazia nelle intime segretezze dello spirito.
Era l'uomo della gloria di Dio regnante dappertutto e in ogni luogo, in se medesimo, nel suo Cristo Gesù, nella sua Chiesa, in ciascuna delle sue opere, in ciascuno dei suoi doni. Voleva la gloria di Dio vivente, regnante e trionfante in ogni anima, in ogni famiglia, nella società. Era questo il grande, l'unico oggetto delle sue fatiche e dei suoi sacrifici. Per lui sapere che un'anima stava in peccato mortale diventava un tormento, ne parlava ogni momento a chi gli era vicino.
L'amore per le anime era per lui una passione ammirabile che aveva il suo fondamento in quell'altro principio che lo produce, io alimenta e gli da tutta la sua forza, la sua costanza: l'amore della gloria di Dio.
Uomo di fede, spiegava tutto dal punto di vista soprannaturale, vedeva tutte le cose nella luce di Dio; ogni cosa: le anime, la Chiesa, il bene, il male, tutto.
Il suo dolore, l'assiduo compagno di tutti i suoi giorni, è stato santificato dalla fede, e s'è consumato il Venerdì Santo.
Il ministero della sua parola era sempre nella luce della fede. La parola di Dio, quando l'annunziava al popolo, era sempre un'Ostia di lode a Dio Uno e Trino, un omaggio alla sua gloria, ai suoi interessi, ai suoi diritti, alla sua verità, alla sua carità, alla sua misericordia; tutto questo e niente altro, ne più ne meno. Ecco perché la sua predicazione giovava sempre alle anime.
Ma egli sapeva benissimo che senza le opere, la fede, ch'è fondamento della vita soprannaturale, è una fede morta.
La sua anima era radicata in «Charitate» come dice S. Paolo. E possedendo in sé la radice divina della grazia e della carità, i frutti che essa ha prodotto sono stati frutti di vita nelle anime.
Profondamente sentita fu la sua devozione alla Madonna.
Non c'era predica che non finisse con una considerazione sulla Madre di Dio. Innumerevoli le iniziative nel popolo per accendere sempre più nei cuori la devozione a Maria.
Ricordiamo il pellegrinaggio Diocesano in onore della Madonna di Fatima, guidato da lui con mirabile resistenza nel predicare e confessare in ogni paese. E chi non ricorda l'imponente pellegrinaggio della Diocesi a Salerno in occasione della venuta della Madonna di Fatima? Assillo del suo animo era la «Peregrinatio Mariae» continua nella famiglia, devozione che ancora persevera nelle parrocchie.
Ed anche negli ultimi istanti della sua vita ha dato mirabile esempio di pietà portandosi, stremato di forze, nella Chiesa della SS. Annunziata, ove ha assistito alle sacre funzioni ed ha ricevuto la S. Comunione, ch'è stato Viatico e suggello della sua pia e laboriosa giornata.


IL CORDOGLIO DI CAMPAGNA


di ANTONINO LUONGO, Campagna, 25 aprile 1961

Se un evento dannoso colpisce gli uomini, difficilmente ci si rende subito conto della realtà. La speranza di un errore alimenta sempre il nostro animo, fino a quando ci si convince dell'ineluttabilità. Tale fu lo stato d'animo del popolo di Campagna, allorquando, nel tardo pomeriggio del 31 marzo, alla stessa ora in cui si rinnovava il sacrificio del Golgota, si sparse, come un baleno, la grave notizia della dipartita del nostro amatissimo Vescovo, Mons. Giuseppe Maria Palatucci.
La gente, che qualche attimo prima aveva potuto vedere il Nostro Pastore assistere in preghiera alle Sacre Funzioni del Venerdì Santo e ricevere, umile tra gli umili, la S. Comunione, non credette a se stessa e spinta dall'affetto, con le lagrime agli occhi e con animo smarrito, si diresse verso la sede vescovile. In pochi attimi, tutto il popolo occupò le strade adiacenti e, nonostante una fitta pioggia, resto per ore e ore nell'attesa di poter vedere per l'ultima volta il suo Vescovo. Colui che per 23 anni era stato il Padre affettuoso, il Pastore zelante, il Benefattore imparziale.
E quando, verso le dieci di sera, la Salma tu trasportata nella chiesa di S. Spirito, trasformata in camera ardente, e il popolo fu ammesso a visitarLa, si verificò quello che nessuna mente di Campagnese potrà mai dimenticare: un popolo intero, che proprio nella sventura manifestò la grandezza e la nobiltà del suo animo, rese omaggio alla venerata Salma, vegliando per l'intera notte in preghiera e in lagrime. Ed erano lagrime degli umili, dei lavoratori, dei benestanti, dei professionisti, di tutti, perché l'Ecc. Palatucci, sempre ed in ogni occasione, profuse le sue qualità di mente e di cuore per il bene della Diocesi ed in modo particolare di Campagna e dei Campagnesi. E la Sua opera fu sempre ispirata da un infinito senso di bontà e di carità veramente francescane, che fecero di Lui non solo il Vescovo, ma anche e soprattutto l'amico e il padre di un intero popolo, a cui sempre schiuse le sue porte con il sorriso dei buoni e con la benedizione dei giusti.
La stessa manifestazione di affetto e di dolore aumentò nei giorni successivi, quando la popolazione delle nostre frazioni e della diocesi, in mesto pellegrinaggio, si riversò tutta a Campagna, rinnovando il tributo di affetto e di stima e associandosi al lutto e al dolore di tutta la popolazione cittadina.
Negli stessi giorni tutte le Autorità parlamentari, civili, militari e politiche della provincia, che in Mons. Palatucci avevano modo di apprezzare l'altezza del Suo ingegno, la fierezza dei Suoi sentimenti, il fervore del Suo apostolato e la nobiltà delle Sue azioni, resero omaggio alla salma dello Scomparso, mentre il Sindaco, con apposita ordinanza, decretava il lutto cittadino.
Lo spettacolo dei locali pubblici chiusi, i muri cittadini completamente coperti dai manifesti di partecipazione del Capitolo Cattedrale, del Comune, dell'Azione Cattolica, dei Comitati Civici, dell'Opera Diocesana di Assistenza, della Scuola Elementare, della Associazione Combattenti e Reduci e della Unione locale della CISL, ma soprattutto il mesto volto di un popolo in lagrime fecero di quei giorni, tanto cari al cuore dei Cristiani, i più tristi che Campagna ricordi. La gravita della sciagura, che ci aveva colpiti, era incommensurabile e il popolo, nella sua saggezza, ne valutò subito la portata. Campagna perdeva con il Vescovo Palatucci non solo il suo Pastore, ma soprattutto il suo Difensore, il suo Protettore.
Nel pomeriggio di Pasqua, in solenne processione, la Salma, attraversando le principali vie della città e tra due fitte ali di popolo, fu trasportata dalla Chiesa di S. Spirito alla Basilica Cattedrale, artisticamente addobbata a lutto.
Non è facile descrivere la commozione e il dolore del popolo, che in ginocchio pianse il suo Vescovo, che in tante e tante altre occasioni aveva visto passare per le stesse strade, in tutti i momenti felici e tristi dell'ultimo ventennio della Storia di Campagna. E a questo punto è doveroso ricordare un avvenimento che più delle parole mette in luce la nobile e santa figura del Vescovo Palatucci.
Erano i tempi tristi della guerra e Campagna per la prima volta faceva l'esperienza dei bombardamenti aerei, che provocarono circa 170 morti e molti feriti. L'Italia conosceva in quel momento l'onta della sconfitta e tutti, con scarso senso di responsabilità, si erano rifugiati nelle accoglienti e sicure grotte delle nostre verdi montagne. Un solo Uomo, con lo stesso coraggio che lo distinse valoroso combattente del Carso e del Piave, affrontando rischi e pericoli, lasciando il tranquillo santuario di Avigliano, corse in mezzo ai Suoi figli, portando ovunque la Sua parola confortatrice e la Sua benedizione. E se i feriti ebbero i primi soccorsi e alcuni morti sepoltura, ciò si deve alla grande Anima di Mons. Palatucci, che ogni Campagnese amò in vita e certamente venererà in morte.
Nella Cattedrale, dal cui trono tante volte aveva detto la Sua parola di bontà, di carità e di amore, il popolo continuò la sua veglia funebre, sempre pregando e piangendo.
Il giorno 3 aprile si svolsero solennemente i funerali. Campagna, forse, in tutti i secoli della sua gloriosa storia non ha visto spettacolo più imponente e commovente. Fin dalle prime ore del mattino, le campane di tutte le parrocchie con il loro suono diffusero nell'aria un profondo senso di mestizia, che si notava evidente su tutti i volti. L'arrivo di tante autorità e delle rappresentanze dei 18 Comuni della Diocesi, nonché della nostra popolazione rurale, la partecipazione completa della cittadinanza diedero ai funerali il significato di un evento straordinario.
Alle ore dieci, nella stessa Cattedrale, gremita fino all'inverosimile e mentre una grande parte della popolazione doveva sostare nelle strade adiacenti, ebbe inizio l'ufficio funebre e il solenne pontificale, celebrato da S. E. Mons. Demetrio Moscato, Arcivescovo Primate di Salerno, con l'accompagnamento della «Schola Cantorum» dello Studentato di Teologia di S. Anastasia. Al termine della S. Messa, S. E. Mons. Rosario Mennonna, Vescovo di Muro Lucano, lesse l'elogio funebre dello Scomparso, inquadrando con dotta parola la Personalità di Mons. Palatucci come Vescovo e come Uomo di cultura.
Alle ore 13 circa, terminata la funzione in Cattedrale, il corteo funebre, solamente maestoso per la grandissima partecipazione dei fedeli, si snodò lungo il corso Umberto I fino a piazza S. Antonio. Precedevano la bara circa 100 ghirlande (tra cui abbiamo notato quella del Prefetto di Salerno, del Sindaco di Salerno. comm. Menna, del Comando della legione CC.. del Sindaco di Montella eco.), tutte le associazioni cattoliche, le congreghe, il clero della diocesi, il Rev.mo Capitolo Cattedrale, lo Studentato di Teologia di S. Anastasia, i probandi del collegio dei Frati Conventuali di Nocera Inferiore, una rappresentanza delle scuole elementari, medie e dell'lstituto Magistrale di Campagna e ben nove Vescovi della regione salernitano-lucana. Dietro la bara erano tutte le autorità e il popolo. tutto il popolo.
A piazza S. Antonio, prima che il corteo venisse sciolto, il Sindaco di Campagna, prof. Antonio D'Ambrosio, l’on. prof. Alfonso Tesauro, il Presidente della Provincia di Salerno, avv. Diodato Carbone, il Presidente della Provincia di Potenza, prof. Verrastro, il rev. Antonio Tozzi, con elevate parole velate di commozione, porsero l'estremo saluto a Mons. Palatucci, che lasciava per sempre Campagna, per essere seppellito, come era suo desiderio, nella natia Montella, accanto ai Suoi.
Un lungo corteo di macchine accompagnò, infine, la Bara al paese nativo, non senza il rimpianto dei Campagnesi, che avrebbero voluto il loro Vescovo sempre accanto a loro, come Egli era stato accanto ai Campagnesi.
Parlare ora dello stato d'animo di tutti, della commozione e del pianto che tanto erano evidenti da potersi tradurre in parole, anche se dette da chi sempre amò il suo Vescovo e sempre fu ubbidente agli ordini che la Sua alta Missione imponeva di dare. Non sarei e non sono capace di esprimere tutto quello che il cuore sente, giacché la commozione di ieri è e sarà al solo ricordo la commozione di sempre.
Ma posso servirmi delle parole che una personalità, legata all'illustre Estinto da una reciproca stima e profonda simpatia, ebbe a dire al cospetto della fiumana di popolo presente il 3 aprile : «Pensavo che Campagna avesse tributato al suo Vescovo una manifestazione di affetto e di gratitudine, ma che si arrivasse ad un vero e proprio trionfo non era neppure nelle immaginazioni».
E queste parole sono di conforto a tutti i Campagnesi, perché se è vero che Campagna ha dato all'Ecc. Palatucci qualche amarezza, è pur vero che Lo ha sempre amato e sempre conserverà nel cuore la Sua dolce, la Sua nobile, la Sua paterna immagine, perché oggi più che ieri può valutare quanto grande, quanto infinito, quanto paterno sia stato il Suo attaccamento a Campagna e ai Campagnesi, che sono sicuri di aver oggi nella Gloria del Paradiso una Grande Anima che guiderà i loro passi e illuminerà la loro niente.
Nel chiudere il presente articolo, compio il dovere di ringraziare le personalità che hanno voluto partecipare al dolore di tutta Campagna e Diocesi per la morte dell'Ecc.mo Vescovo e nell'elencarle chiedo venia per qualche involontaria omissione :
Autorità Ecclesiastiche : S.E. Mons. Demetrio Moscato, Arcivescovo Primate di Salerno; S.E. Mons. Càsullo Guido, V. di Nusco (Avellino); S.E. Mons. D'Agostino Biagio V. di Vallo della Lucania; S.E. Mona. Fortunato Zoppas, V. di Nocera Inf.; S.E. Mons. Alfredo Vezzi, V. di Cava e Sarno ; S.E. Mons. Rosario Mennonna, V. di Muro Lucano ; S. E. Mons. Felicissimo Tinivella, V. di Teggiano ; S.E. Mons. Federico Pezzullo, V. di Policastro; SE. Mons. Carullo, Arciv. di Conza e Vescovo di Lacedonia, S. Angelo e Bisaccia; Rev.mo P. Gaetano Stano, Procuratore Gen. dell'Ordine dei Frati Minori Conventuali; il Ministro Provinciale della Campania: Rev.mo P. Bonaventura Mansi, O.F.M. Conv.li; il Ministro Prov. delle Puglie: M. R. P. Benedetto Salierno O. F. M. Conv.li; Mons. Antonio Verrastro, Direttore Seminario Pontifìcio Regionale di Salerno; il padre Prov. dei Frati Minori di Salerno ; P. Antonio da Pagani, V. Commissario Cappuccini della Campania e della Lucania; Mons. Giuseppe Crea, delegato regionale della POA; Mons. Fausto Mezza, Abate della SS. Trinità di Cava dei Tirreni.

Autorità Civili: S. E. Fiorentino Sullo, Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, On. Mario Valiante, On. Francesco Amodio, On. Vincenzo Scarlato, On. Alfonso Tesauro, Avv. Diodato Carbone, Vice-Prefetto Vicario Comm. Soriano Pasquale, in rappr. del Prefetto, Procuratore della Repubblica, Botta, Sen. Dott. Vincenzo Indelli, Dr. Bruno in rappr. del Questore, prof. Turi, Preside Ist. Mag., Comm. Stingone, Ing. Trucillo, Ing. Lorito, Ing. capo del Genio Civile di Salerno, Giudice Ermanno Addesso, Ing. Postiglione del Genio Civile, Prof. Sarno, segretario provinciale della D.C., Avv. Michele Perito, ing. Postiglione (figlio), Cap. Forino in rappr. del Colonnello della Guardia di Finanza, Cap. Severino, comandante polizia stradale, Cap. Beverelli comandante compagnia CC. di Eboli, Prof. Domenico Bomagnano, ispettore scolastico di Eboli, in rappr. del Provveditore agli Studi, dott. Michele Stassano, direttore Didattico, Avv. Stefano Bono, delegato prov. C.C., prof. Giovanni Ceriello, in rappr. della Scuola Media di Eboli, colonnello Biccobono, comandante del Distretto militare di Salerno, Ten. Col. CC. Travisi Carlo, Prof. Vincenzo Verrastro, Presidente Amm. Prov. di Potenza, Avv. Francesco Petrullo, Vice Presid. Amm. Prov. di Potenza, prof. Rocco Luongo.
Sindaci: Prof. Antonio D'Ambrosio di Campagna, prof. Cardiello di Eboll, sig. Nicola Vita di Satriano, sig, Petrone Mario di Brienza, Geom. Robertazzi di S. Gregorio Magno, Dr. Mastursi di Buccino, prof. Mauriello di Contursi, prof. Caprio di Valva, dr. Terlizzi di Colliano, dr. Carbone di Palomonte, sig. Mazzone Giuseppe di Caggiano, dr. Coviello di Laviano, sig. Egidio Grande di Vietri di Potenza, dr. Rufolo di Oliveto Citra.

di MICHELE AIELLO


Presidente del Centro Studi Palatucci, Campagna, 22 marzo 2020.

UNA VITA PER LA MISERICORDIA
Nato a Montella (Av) tra i monti della verde Irpinia il 25 aprile 1892, da genitori profondamente cristiani, Giuseppe Maria Palatucci fu il quarto e più giovane di quattro fratelli.
Preceduto da due dei suoi fratelli, entrò anche lui nel convento cittadino Santa Maria del Monte.
Studiò e si laureò a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana. Divenne sacerdote il 29 maggio 1915 e celebrò la prima Messa il 31 dello stesso mese nella chiesa di San Silvestro, ancora in Montella.
Fu cappellano militare durante la Grande Guerra, quella del 15-18. Un’esperienza dura e alta, utilissima allora e che gli sarà utile anche in futuro.
Di ritorno in Irpinia, passa attraverso vari conventi fino a che è inviato a Roma dove, a dire l’uomo colto, insegna filosofia nel Collegio Serafico francescano.
Lascia la capitale e diventa superiore e straordinario animatore del Collegio Serafico di Ravello, sulla costiera amalfitana.
Ha appena 45 anni quando è designato Vescovo di Campagna. E’ il 16 agosto 1937.
Lo consacra il Cardinale Alessio Ascalesi a San Lorenzo il 28 novembre dello stesso anno e giunge solennemente a Campagna (Sa) il 16 gennaio 1938. Si stabilisce da quell’anno e da quel giorno un rapporto tra lui e la città campana che non verrà meno fino alla sua morte e anche dopo se è vero che la memoria di lui continua a rimanere intatta. Grande fu il suo impegno sia dal punto di vista religioso sia dal punto di vista sociale.
Rinnovò il Seminario e diede spessore al culto nel santuario di S. Maria di Avigliano; visitò pastoralmente i popoli della sua diocesi; sostenne le confraternite; elevò la cultura popolare; fu ottimo direttore di spirito; seguì la crescita dei giovani.
A causa della seconda guerra mondiale e della persecuzione contro gli ebrei che prese piede anche in Italia, Mons. Palatucci confortò personalmente gli internati a Campagna confinati dal regime. E lo fece in tutti i modi. Sollecitando l’aiuto anche economico della Sede Apostolica, vivendo un certo rapporto con suo nipote Giovanni, funzionario di polizia che, impegnato a sua volta, e Dio sa quanto e come, gli raccomandava molte persone per sottrarle alla persecuzione o per consentir loro la reintegrazione nelle famiglie che le autorità avevano disperso qua e là.
Leggendaria la sua presenza tra i morti e i feriti conseguenti al bombardamento alleato che, a causa di un equivoco, non risparmiò, e fu crudele, la città di Campagna e i suoi cittadini che aspettavano pane ed incrociarono bombe, tante bombe. Egli corse in piazza, curò feriti, consolò famiglie, ebbe parole di misericordia e di speranza per tutti:
come oggi testimonia ancora la memoria dei pochi sopravvissuti all’usura necessaria del tempo e dei loro figli e dei figli dei loro figli. Perché, appunto, teste la storia, ciò che si è fatto, lo si è fatto per sempre.
La ripresa fu lenta, ma libera costante e i tempi nuovi sconfissero, Dio voglia per sempre, le velleità arroganti di chi avrebbe voluto imporre con la forza bruta un’antistorica separazione del mondo in base a ragioni di razza o di cultura.
Mons. Palatucci accompagnò fino alla morte il popolo del suo destino, quel popolo che il 31 marzo 1961, ne avvertì l’assenza in maniera addirittura traumatica, tanto è vero che 24 anni di convivenza serena e partecipe, feriscono l’anima e sconcertano i giorni.
Era il 3 aprile 1961, quando l’intero popolo fedele di Campagna pregò in ginocchio perché al suo Vescovo fossero aperte le porte del Paradiso e ne accompagnò le spoglie all’ultima dimora.
Ecco: Mons. Giuseppe Maria Palatucci appare nella sua vita come un testimone qualificato della fede nel Dio della salvezza e nel Cristo risorto inteso come criterio ultimo di lettura e di interpretazione della vita.
Appare altresì, e in tal senso premono le testimonianze dei campagnesi, degli ex-internati e di quanti in un modo o nell’altro ebbero contatto con lui, un uomo di misericordia, giacché si piegò sulle fatiche altrui avendo per tutti, e quanto poté, il necessario conforto e il sorriso splendido del vangelo.
Uomo di Dio, egli agì nel nome di Dio e a vantaggio degli uomini: come deve essere per chi abbia scelto di seguire le orme di Gesù. Gesù disse infatti che la vita la decide l’osservanza del duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo.

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